Anicka Yi – Metaspore
24 febbraio – 24 luglio 2022
a cura di Fiammetta Griccioli
e Vicente Todolì
Pirelli Hangar Bicocca – MILANO
Biofilie
11 febbraio – 20 febbraio 2022
a cura di Federico Bomba
La Mole, Sala Vanvitelli – ANCONA
Role Play
19 febbraio – 27 giugno 2022
a cura di Melissa Harris
Osservatorio Fondazione Prada – MILANO
CAO FEI. Supernova
16 dicembre 2021 – 8 maggio 2022
a cura di Hou Hanru
e Monia Trombetta
MAXXI – ROMA
Tania Bruguera. La verità anche a scapito del mondo
27 novembre – 13 febbraio 2022
a cura di Diego Sileo
PAC Padiglione d’Arte Contemporanea – MILANO
Enter the Plastocene.
Tamiko Thiel & /p
dal 3 febbraio
a cura di Julie Walsh
MEET Digital Culture Center – MILANO
ANICKA YI. Metaspore
Dopo aver trasformato la Tubrine Hall della Tate Modern di Londra in una specie di acquario Anicka Yi porta la sua ricerca sulle entità simbiotiche anche nel nostro paese. Già il solo fatto che questa artista sia nata a Seul potrebbe bastare come garanzia di qualità, date le perle che la new wave coreana ci sta regalando da anni a questa parte, ma se non fosse sufficiente ecco qualche dato che ti convincerà sulla assoluta attualità del suo lavoro.
Focus di Anicka Yi è esplorare le dinamiche di comunicazione tra sistemi viventi e non viventi e smontare la concezione che vede la materia sintetica e quella biologica come due mondi opposti e non coincidenti. Le sue installazioni mescolano batteri, alghe, intelligenza artificiale e stimolazioni olfattive per ipotizzare nuovi ecosistemi in cui natura e tecnologia interagiscono in autonomia, bypassando la mediazione dell’uomo.
All’Hangar Bicocca saranno esposti più di 20 lavori che l’artista ha concepito dal 2010 a oggi, più un’attualizzazione di Biologizing the Machine, un’opera che, se hai visitato la Biennale del 2019, non potrai non ricordare. In una serie di pannelli acrilici Anicka mescola terriccio veneziano con un particolare tipo di batteri. Le condizioni di umidità, luce e temperatura all’interno delle teche sono controllate da un sistema di IA che monitora la salute dei batteri in base al loro odore e modifica i parametri di conseguenza. Un piccolo ecosistema felice che si evolve libero dal nostro controllo.
Biofilie
Evento breve ma intenso nell’ambito del festival art+b = love? di Ancona, che quest’anno si costruisce tutto sul tema Femminismi, Cura e Biodesign. Tra talk onsite e online l’iniziativa si propone come una forma di attivismo in favore di una tecnologia manipolata dal basso, e non più strumento delle dinamiche di sfruttamento tipiche del modello economico malato su cui ci basiamo.
Nel suo denunciare la correlazione tra disuguaglianze, disparità di genere e sfide ambientali, il festival non poteva non avere il suo fulcro in una mostra dedicata al lavoro di Giulia Tomasello, con cui io ho avuto anche il piacere di chiacchierare qui , e del* artist* che hanno collaborato con lei nel corso degli anni.
Biofilie è una mostra che racconta il suo percorso di ricerca sull’empowerment femminile, rivendicando una riappropriazione del corpo e dei suoi processi di cura da parte delle donne stesse attraverso le pratiche del design, della biotecnologia e del biohacking. In mostra sono esposti progetti come Alma e Future Flora, dei kit casalinghi per il monitoraggio e la prevenzione delle infezioni vaginali che invitano a combattere l’idea che la tecnologia sia appannaggio esclusivo dei topi da laboratorio.
La domanda di fondo è una di quelle che mi sta più a cuore: dal momento che della tecnologia non possiamo fare a meno, non è meglio che iniziamo a conoscerla davvero e non solo a subirla passivamente?
Role Play
Per restare in tema di “my body, my decision” all’Osservatorio della Fondazione Prada di Milano sta per inaugurare una collettiva che riunisce il lavoro di 11 artiste internazionali quali: Amalia Ulmann, Juno Calypso, Meriem Bennani, Cao Fei, Mary Reid and Patrick Kelley, Beatrice Marchi, Darius Mikšys, Narcissister, Haruka Sakaguchi & Griselda San Martin, Tomoko Sawada e Bogosi Sekhukhuni.
La mostra si presenta come una raccolta di immagini, video e performance che hanno come filo conduttore la ricerca di identità alternative, sfruttando quella particolare capacità del mezzo fotografico di catturare la moltiplicazione del sè che già Cindy Sherman e Yasumasa Morimura ci hanno mostrato così bene.
La creazione di un “altro da sè” è indagata nelle sue diverse forme e significati: c’è chi si immagina abitante di un bunker antiatomico sotterraneo, chi si crea un alter ego su Instagram e lo trasforma in un influencer da migliaia di follower, chi espia il rapporto con il padre in una conversazione tra due avatar 3D perfetti per il Metaverso. Se tutto questo non riuscirà a convincerti della versatilità dell’essere umano in generale, sicuramente varrà a mostrarti quella del* artist*.
CAO FEI. Supernova
Oltre alla partecipazione alla mostra di cui sopra, Cao Fei spopola in Italia già nelle sale del MAXXI, che le sta dedicando una personale che corre sul filo del legame tra tradizione e futuro e tra luoghi fisici e virtuali. A differenza di molti suoi conterranei, l’artista riesce a vivere ancora a Beijing, dove produce installazioni e film che riflettono sui cambiamenti nella società contemporanea dislocandoli in scenari post-apocalittici.
Responsabili di questi cambiamenti sono per la maggior parte le nuove tecnologie, di cui lei comunque si serve per realizzare le sue opere; quella che l’ha resa celebre è stata la costruzione di una città su Second Life con lo pseudonimo di China Tracy, città che tra il 2009 e il 2011 è stata il “place to be” per una nutrita e attivissima comunità artistica.
In mostra Cao Fei presenta Eternal Wave, il lavoro in realtà virtuale che ha prodotto in collaborazione con Acute Art, i film Haze and Fog, La Town e il più recente Nova, e l’ultimissimo lavoro Isle of Instability che riflette inevitabilmente sulle ripercussioni della pandemia e del lockdown sulle nostre povere vite.
TANIA BRUGUERA. La verità anche a scapito del mondo
Finalmente arriva in Italia la prima personale di un’artista che amo, con un titolo che cita le parole di Hannah Arendt e che è il manifesto di un’arte che invita a dire sempre la verità. Questa linea di pensiero ha portato Tania Bruguera, artista e attivista cubana, a scontrarsi diverse volte con la giustizia, tra censure e periodi di detenzione.
La ragione di queste problematiche è che con la sua vita fa lo stesso che fa con la sua arte, cioè indagare e denunciare le strutture di potere e le dinamiche politiche. Uno dei suoi medium principali è la performance, motivo per cui questa mostra al PAC di Milano si snoda tutta attorno ad azioni che vengono reinterpretate da performer a orari prestabiliti.
Le opere spaziano tra alcune delle sue installazioni/azioni più celebri come Sin titulo, che accoglie il pubblico in una stanza buia in cui tre uomini nascosti nell’ombra elencano i nomi di tutti i prigionieri politici cubani aggiornati al 2021, a quella site specific appena dopo l’ingresso, che propone una bandiera europea fatta di stelle unite con del filo spinato. Questo ricamo è cucito a mano da alcuni ex deportati dei lager nazisti, a ricordare che quanto accade ai confini d’Europa non ha nulla da invidiare alle brutture dell’Olocausto.
Enter the Plastocene
Siccome di “cene” ultimamente non ne abbiamo mai abbastanza, Tamiko Thiel ci da il benvenuto anche nel Plastocene, l’era in cui la plastica ha iniziato ad assumere conformazioni geologiche. La definizione non è stata coniata dall’artista, ma ha portato lei come molt* ad interrogarsi sulle sue implicazioni e molteplici forme, primo tra tutti il suo impatto sugli escosistemi marini.
Spalla a spalla con lo sviluppatore, Tamiko – una delle pioniere della new media art – ha fatto quello che le riesce meglio: ha progettato un’installazione interattiva multicanale per gli spazi del MEET di Milano, già occupati dal Reinassance Dream di Refik Anadol.
Se riesci a farci un salto potrai avere anche la fortuna di immergerti in un oceano virtuale di pesci e rifiuti, o anche di pesci che si trasformano in rifiuti in maniera direttamente proporzionale ai tuoi tentativi di interazione. L’obiettivo dell’esperienza è di ricordarci che se continueremo a buttare nei mari otto milioni di metri cubi di plastica all’anno, per il 2050 in acqua ci andremo solo per raccogliere bottiglie.