Cos’hanno in comune un coniglio bianco e una medusa? La risposta a questa domanda ha smesso di essere nulla sedici anni fa, quando l’artista e docente dell’Art Institute di Chicago Eduardo Kac decise che, se un artista poteva lavorare usando escrementi, organi interni e protesi meccaniche, allora poteva anche mettersi a pasticciare con i geni.
Così, nel 2000, trovò in Francia degli scienziati abbastanza folli da supportarlo in un progetto di ricombinazione di materiale genetico chiamato GFP Bunny. In sé l’idea era molto semplice: si trattava soltanto di inserire una proteina della medusa Aequorea Victoria nel codice genetico di un coniglio albino. La particella in questione si chiama GFP (proteina verde fluorescente) ed è quella che permette a questa particolare specie di illuminarsi ad elevate profondità. L’obiettivo di Kac era creare un coniglio che si vedesse al buio.
L’operazione andò a buon fine e ne nacque un batuffolo di pelo che venne adottato dall’artista con il nome di Alba. Alba era del tutto simile ad un coniglio domestico, solo con una grande sensibilità alla luce di Wood.
Per tutti i suoi due anni di vita l’animale è stato ripudiato sia dagli ambienti scientifici che da quello artistico e il suo creatore travolto da ogni sorta di polemica, mentre Alba dormiva, mangiava e qualche volta diventava verde, inconsapevole di essere diventata il simbolo dell’arte transgenica. La sua mutazione in fondo non aveva molto di spettacolare: GFP Bunny era un’opera sottile, un’alterazione genetica discreta che voleva soprattutto far riflettere su come un essere vivente possa essere tanto speciale pur avendo un aspetto identico a qualsiasi altro.
Eduardo Kac, Free Alba!!, 2001-2002
Eduardo Kac, Free Alba!!, 2001-2002
Eduardo Kac, Free Alba!!, 2001-2002
Eduardo Kac, Free Alba!!, 2001-2002
Eduardo Kac, Free Alba!!, 2001-2002
Eduardo Kac, Free Alba!!, 2001-2002
Eduardo Kac, Free Alba!!, 2001-2002
Eduardo Kac, Free Alba!!, 2001-2002
Nonostante la moralità glielo vieti categoricamente, l’occasione fa l’uomo ladro e avere il codice genetico così a portata di mano ha continuato a indurlo a forzare i propri limiti in varie direzioni, per scoprire di questo passo dove si va a finire. Ed è così che a giugno di quest’anno è nato Graham.
Graham per ora è solo un’ipotesi di essere vivente, il prototipo di un’anatomia più conforme all’esistenza moderna; è la scultura iperrealista di una configurazione immaginaria, un ossimoro in vetroresina e silicone.
La commissione australiana per gli incidenti legati ai trasporti l’ha commissionato ad un chirurgo specializzato in traumi, un esperto di incidenti stradali e all’artista Patricia Piccinini, che sulle mutazioni genetiche ci ha costruito un’intera carriera. Il loro compito era quello di brevettare un nuovo prototipo di automobilista, dotato di un corpo resistente alle collisioni.
Cos’hanno in comune un medico, un esperto di incidenti automobilistici e un artista? Da oggi la risposta è Graham. Un fantoccio di essere umano, con alcuni dettagli profondamente stonati. Primo tra tutti la testa, enorme e squadrata, priva di orecchie e di collo; poi una serie di piccole sacche inserite in mezzo alle costole, una specie di grappolo di airbag naturali per attutire gli urti.
Qualsiasi riscontro possa avere in realtà questo tipo di ricerca, Graham resta un esempio perfetto di quello che potrà succedere quando smetteremo di giocare con il DNA dei conigli e inizieremo ad agire direttamente sugli esseri umani.
Per dirla in un’altra maniera, Graham è il prototipo di un post-umano. Postumano è quando l’uomo rifiuta i limiti imposti dalla natura e dalla propria carne e si tira il collo per sbirciare cosa c’è dietro. Il postumano al momento è ancora una promessa non mantenuta. Per ora l’uomo si progetta scompostamente, a pezzi: l’evoluzione prende forma tra varie discipline che sperimentano in maniera autonoma. Così è normale che gli esiti ci possano lasciare perplessi, increduli e spesso disgustati.
L’uomo si rimodella a tentativi, va alla cieca. Spara nel mucchio. Pasticcia con i geni e talvolta succede che esageri con le orecchie, oppure che scambi un piede con uno zoccolo. La Piccinini ci ha ampiamente abituato a questo genere di cose, dando forma a creature concepite come rimpiazzi, come fonti di parti di ricambio umane. Le sue sculture sono per stomaci di ferro, ma anche per grandi cuori.
Il cinema in qualche modo ci ha già preparato a tutto questo: i mostri antropomorfi sono all’ordine del giorno in una sci-fi fiction o in un film dell’orrore; ma mentre sulla pellicola i mutanti sono esseri violenti e assetati di sangue venuti da un indefinibile altrove, queste sculture zoomorfe con i piedi di squame non fanno paura neanche a un bambino.
Suscitano solo un po’ di inquietudine, e poi un’infinita compassione. Forse perché nei mostri l’uomo moderno si riconosce, capisce già dove andrà a finire. Le creature di Piccinini a modo loro ci parlano di integrazione: ci insegnano che un neonato addormentato potrà sempre suscitare istinto materno, anche con una proboscide al posto del naso e qualche tentacolo supplementare.
Il segreto è solo guardarli negli occhi: è lì che si scopre, in barba agli stereotipi di Hollywood, che la deformità non è necessariamente una distorsione morale. Lo straniante non è la bruttezza, è il non corrispondere di questi esseri con i propri corpi. L’umanità per Piccinini non sta nella forma, ma in ciò che le sta dentro e la abita, spesso suo malgrado.
Nel lavoro di Kiki Smith ogni arto amputato non è solo angosciante e brutto da vedere, ma ha anche un risvolto spirituale: come degli ex voto i frammenti esorcizzano il male, sono un aupicio di buona salute. La carne è dotata di un potere ancestrale, come quello della dea Nuit, la divinità più paziente dell’antico Egitto, che al tramonto ingoiava il sole e ogni mattina ne partoriva un altro. Per esperienza sappiamo ciò che va in pezzi non tornerà mai più come prima, ma dimentichiamo che i cocci si possono sempre ricomporre in qualcosa di nuovo.
Patrizia Piccinini, Newborn, 2010
Patrizia Piccinini, Newborn, 2010
Patrizia Piccinini, Newborn, 2010
Patrizia Piccinini, Newborn, 2010
Patrizia Piccinini, Newborn, 2010
Patrizia Piccinini, The long awaited, 2013
Patrizia Piccinini, The long awaited, 2013
Patrizia Piccinini, The long awaited, 2013
Patrizia Piccinini, The long awaited, 2013
Patrizia Piccinini, The long awaited, 2013