Se pensi che gli orti in balcone e i giardini in bottiglia siano l’ultima frontiera del giardinaggio, ci sono almeno tre esperienze che devi ancora considerare. Quando la botanica esce dal seminato gli esiti sono imprevedibili: non c’è limite a quello che un artista è capace di fare, e non mi riferisco soltanto alle ninfee seriali di Monet o alle nostalgie provenzali di Van Gogh.
L’arte ha stabilito da tempo che riprodurre il reale non è più materia d’esame; come ai suoi tempi aveva già sentenziato Klee: “Oggi l’arte non riproduce il visibile, ma rende visibile”. Il che è come dire che l’artista oggi non copia ma indica, porta a galla spunti di riflessione. Per farlo spesso crea nuovi mondi, nuovi spazi di possibilità; crea nuove occasioni esperienziali e qualche volta anche la vita stessa.
Il giardino robotico
Fino a una decina d’anni fa se ti fossi recato all’Ars Electronica Centre di Linz, in Austria, avresti trovato un’opera singolare. Si trattava di un minuscolo giardino dal perimetro circolare, con un congegno meccanico piantato al centro. Questo oggetto non era altro che un braccio robotico dotato di una piccola telecamera collegata in rete.
Nel 1995 chiunque fosse interessato poteva entrare sul sito e osservare il giardino da quella prospettiva, e se lo desiderava anche annaffiarlo di tanto in tanto. Bastava sedersi in poltrona, loggarsi e selezionare un apposito comando sulla schermata del computer; dopo un certo numero di operazioni si guadagnava il diritto di piantare un seme. Per dieci anni il TeleGarden è stato tenuto in vita dal pollice verde di più di 9000 utenti da ogni parte del globo, che si coordinavano via chat per risolvere piccole catastrofi come il deperimento di una pianta o l’irruzione di un insetto.
Il giardinaggio robotico ha prodotto una metamorfosi fondamentale: passato da semplice osservatore a protagonista della creazione artistica, il pubblico non solo interagiva con l’opera, ma diventava una parte attiva di essa, la sua condizione stessa di realizzazione. Con l’arrivo di Internet lo spettatore si è trasformato in utente e l’utente come sappiamo non è mai solo. Benvenuto nel post-individualismo, dove tutto è interscambio e compartecipazione. L’arte è diventata un gioco di squadra: hai bisogno degli altri per arrivare in rete, hai bisogno degli altri più del tuo stesso corpo.
All’artista Ken Goldberg, uno dei pionieri indiscussi della Telepresence art, restano l’idea e la gloria di averci mostrato per primo come gestire problemi reali in spazi virtuali. Oggi la sua opera è un pezzo da museo, un piccolo monumento all’operosità delle comunità digitali.
Ken Goldberg. TeleGarden, 1995
Ken Goldberg. TeleGarden, 1995
Ken Goldberg. TeleGarden, 1995
A passeggio in una foresta di pixel
Tempo di mettere in soffitta il primo giardino in remoto della storia e nel mondo del gardening già fiorivano esperienze altrettanto epocali. Così, allo scoccare del nuovo millennio ci ha pensato Miguel Chevalier a svecchiare la botanica con una bella iniezione di digitale.
Facendo gli ossequi a tutta la tradizione di nature morte e composizioni floreali, l’artista 2.0 crea una serie di lavori interattivi dedicati al regno vegetale. Se ami il contatto con la natura ma senza sporcarti le mani, queste installazioni potrebbero essere il tuo habitat ideale.
La serie Sur-Nature ad esempio offre la possibilità di passeggiare in una foresta di piante virtuali. Steli di pixel e corolle stroboscopiche dai colori acidi si stendono sulle pareti; grazie ai sensori, foglie e fiori ondeggiano come accarezzati da una brezza leggera, accompagnando il visitatore in una sorta di escursione onirica.
Con buona pace dei florovivaisti, nessuna di queste specie esiste in natura. Ogni fiore sboccia da un seme virtuale, che non è altro che un algoritmo studiato a tavolino per dotarlo di un ciclo di vita del tutto simile a quello naturale ( e di un aspetto più affascinante). La loro bellezza è quanto di più romantico la matematica possa generare: le piante nascono, crescono e muoiono, petali affilati si sfaldano e sfioriscono tra geometrie di foglie in uno spettacolo a cavallo tra un trip allucinogeno e il salvaschermo di Windows.
Oltre a rigenerarsi all’infinito, il video-giardino ha il pregio di poter crescere dappertutto: non c’è bisogno di acqua, basta avere un proiettore. Così possiamo avere giardini sul pavimento, sulle pareti, e perfino sopra un edificio, come è capitato nel 2010 al porto di Marsiglia dove, grazie all’opera Seconde Nature, ogni notte fiori e foglie sbocciavano puntuali sulla facciata dei docks.
Nella serie Fractal Flowers le piante digitali sono esposte in una dimensione più tradizionale: ciascuna è collocata all’interno di una tela display, pulsante e interattiva, a dare spettacolo del suo malinconico ciclo vitale. Piccoli prototipi di specie inedite, sospese tra naturale e artificiale, uniche al mondo e mai uguali a sé stesse; alcune, come Peyotl Mandragora Officinarum e Trifolia Sadica, si trasformano anche in sculture grazie alla stampa 3D.
Miguel Chevalier, Sur-nature, 2014, veduta dell’installazione presso Domaine de Chaumont-sur-Loire, 2014 © Éric Sander
Miguel Chevalier, Sur-nature, 2014, veduta dell’installazione presso Domaine de Chaumont-sur-Loire, 2014 © Éric Sander
Miguel Chevalier, Sur-nature, 2014, veduta dell’installazione presso Domaine de Chaumont-sur-Loire, 2014 © Éric Sander
Miguel Chevalier, Seconde natures, 2010, veduta dell’installazione al porto di Marsiglia
Miguel Chevalier, Seconde natures, 2010, veduta dell’installazione al porto di Marsiglia
Miguel Chevalier, Seconde natures, 2010, veduta dell’installazione al porto di Marsiglia
Le piante ci somigliano
Mentre Chevalier guardava i fiori e li trasformava in numeri, Eduardo Kac si è imparentato con una pianta ornamentale. Dopo aver ibridato una medusa fluorescente con un coniglio albino, l’artista-scienziato ci ha mostrato come trasformare il giardinaggio da un passatempo domenicale a una specie di forum sui temi caldi della biologia molecolare.
Tra il 2003 e il 2008, supportato da uno staff di ricercatori dell’Università del Minnesota, Kac è stato in grado di isolare un cromosoma dal proprio DNA ed innestarlo nel codice genetico di una petunia. Il risultato è il “plantimal”, ovvero una pianta dal sangue umano. Edunia, il primo fiore transgenico della storia, è l’incarnazione di un’unione impossibile, un corto circuito evolutivo; un’aberrazione da appartamento.
Esternamente, ad essere sinceri, non si nota nulla, l’aspetto di Edunia non potrebbe essere più normale: foglie verdi, steli di circa trenta centimetri, una corona di fiori e boccioli. Pacchetti di semi a forma di farfalla riportano sulla confezione tutto quello che c’è da sapere: esposizione, periodo di fioritura e terriccio da utilizzare.
I petali dai toni pastello, della stessa tinta di pelle dell’artista, sono solcati da venature: il colore rosso è un romantico effetto dell’immunoglobulina, la proteina che regola il sistema immunitario dell’uomo. Questa parodia di un sistema circolatorio è l’unica traccia visibile dell’unione tra un essere umano e un vegetale, e ricorda all’osservatore che in entrambi scorre la stessa linfa.
Natural History of the Enigma, questo il titolo dell’operazione, non è altro che un saggio di integrazione. Ci insegna che l’incontro tra specie differenti non solo è possibile, ma dà anche piacevoli risultati. Dopotutto, se ci siamo abituati all’idea di innesti meccanici, perché la fusione con un essere organico ci dovrebbe spaventare?
Certo, se il fatto di avere molto in comune con un animale ormai è cosa assodata, lo stesso non si era mai sentito dire a proposito di un vegetale; ma in fondo, che si impugni una provetta, una tela, oppure paletta e rastrello, è sempre e solo con la vita che abbiamo a che fare.
Eduardo Kac, Edunia, Natural History of the Enigma, 2003- 2008
Eduardo Kac, Edunia, Natural History of the Enigma, 2003- 2008
Eduardo Kac, Edunia, Natural History of the Enigma, 2003- 2008
Eduardo Kac, Edunia, Natural History of the Enigma, 2003- 2008, teca con un sacchetto di semi
Eduardo Kac, Edunia, Natural History of the Enigma, 2003- 2008, teca con un sacchetto di semi
Eduardo Kac, Edunia, Natural History of the Enigma, 2003- 2008, teca con un sacchetto di semi