Dancing
with Myself
8 aprile – 16 dicembre 2018
a cura di Martin Bethenod
e Florian Ebner
Punta della Dogana – VENEZIA
Somatechnics. Transparent travelers and obscure nobodies
25 maggio – 2 settembre 2018
a cura di Simone Frangi
Museion – BOLZANO
Rebecca
Horn. Passing the Moon of Evidence
13 maggio – 15 ottobre 2018
Studio Trisorio – NAPOLI
The
God-Trick
5 maggio – 21 ottobre 2018
a cura di Marco Scotini
PAV Parco Arte Vivente – TORINO
Dancing with Myself
Damien Hirst, Alighiero Boetti, Maurizio Cattelan, Marcel Broodthaers, Gilbert&George, Cindy Sherman, Bruce Nauman… no, non sto elencando le voci dell’Enciclopedia d’Arte Contemporanea Treccani, ma gli artisti in mostra a Punta della Dogana a Venezia. Oltre ad essere tutti nella hall of fame del contemporaneo (e ovviamente anche del mercato dell’arte), questi nomi sono accomunati anche da un’altra caratteristica: produrre opere che riflettono su loro stessi come artisti e come individui, utilizzando il proprio corpo come mezzo espressivo. Con questo pretesto Dancing with Myself riesce a riunire insieme capolavori indiscussi del contemporaneo, che provengono in gran parte dalla collezione personale di Francois Pinault, ma anche da quella del Museum Folkwang di Essen, e coprono un arco temporale che va dagli anni ’70 all’altro ieri. Tra una tendina di Felix Gonzalez Torres e un uomo che cola di Urs Fischer, l’obiettivo è farti uscire da lì con impresso qualcosa di più del leggendario restauro di Tadao Ando. Se il percorso avrà funzionato, ti sorprenderai di quanti significati e messaggi possa veicolare un autoritratto, e di quanto sia ridicola l’idea di un’identità fissa nel ventesimo secolo.
Somatechnics. Transparent travelers and obscure nobodies
Che aspetto avrebbe e che opere potrebbe ospitare oggi un ipotetico Padiglione Italia-Austria? Quali opere potrebbero essere scelte per rappresentare l’incontro tra due culture agli antipodi come quella nordica e quella mediterranea? In occasione del decennale nella nuova sede, il Museion di Bolzano ha rivolto queste domande ad uno stuolo di curatori, sfidandoli a reinterpretare la vocazione originaria del museo. Tra tutte le proposte ha vinto quella di Simone Frangi, che cerca di riflettere sui rigurgiti etno-nazionalistici del territorio di confine mettendo in dialogo opere di 10 artisti di entrambi i paesi. I lavori in mostra spaziano dalle performance alle installazioni, ma cercano tutti di affrontare il tema dell’identità linguistica e culturale attraverso lo strumento più efficace che abbiamo, ovvero, indovina un po’? Il corpo. Il risultato è una critica necessaria al brutto vizio della profilazione sociale, delle categorizzazioni su basi razziali, sessuali, religiose e quant’altro, che complessivamente vanno sotto il nome di “somatecniche” e hanno il solo scopo di costringere il corpo in modelli che non gli appartengono. Adelita Husni-Bey, Ursula Mayer, Pauline Boudry&Renate Lorenz, Danilo Correale e Sophie Utikal prendono posizione contro questa retorica squisitamente politica e rivendicano il diritto ad un corpo non conforme. Non a caso l’esposizione si apre con un’opera dalla serie The Lustful Turk di Patrizio di Massimo, concepita per sbuggerare tutti gli sterotipi razzisti del libro a cui si ispira e mostrare in che modo delle culture complesse e “altre” vengano sistematicamente banalizzate attraverso metafore aberranti.
Rebecca Horn. Passing the Moon of Evidence.
Rebecca Horn è uno dei mostri sacri dell’arte contemporanea. Come Frida Kahlo ha passato gran parte della sua giovinezza in un letto d’ospedale e, proprio come Frida, l’isolamento ha giocato un ruolo non indifferente sul suo lavoro. Come artista ha iniziato a fare sul serio negli anni ’70, brevettando estensioni corporee con cui esplorare il mondo, per poi virare su oggetti animati da congegni automatici e su composizioni fatte di giochi di specchi, luci e suoni. In questa parabola ha sperimentato con qualsiasi mezzo le capitasse a tiro: scultura, performance, fotografia, installazioni, cinema e… piume. In ogni opera ha costretto tempo e spazio a una ridefinizione, confondendo continuamente i confini tra l’uno e l’altro. In Italia Rebecca Horn è rappresentata dallo Studio Trisorio di Napoli, che al momento espone sei nuove opere di grande formato e diversi disegni, in un tripudio di farfalle meccaniche, rocce vulcaniche, specchi rotanti e allusioni cosmiche.
The God-Trick
E’ inutile negarlo, ormai l’Antropocene è sulla bocca di tutti. Di questi tempi non c’è artista che non abbia prodotto un’opera nemmeno vagamente ascrivibile a questo argomento, e che non abbia messo l’uomo alla gogna per il suo impatto disastroso sull’ecosistema. Il dibattito è urgente a tal punto che a maggio a Torino si è tenuto un convegno internazionale per tastare la situazione, accompagnato da una mostra collettiva ad alto coefficiente concettuale. La mostra è ancora in corso e riunisce una serie di artisti che hanno seguito le orme di Donna Haraway e la sua idea di “situated knowledge” – ovvero di una conoscenza strettamente legata al corpo. L’apporto della Haraway è talmente strutturale che perfino il titolo della mostra “The God-Trick”, riprende una sua definizione. In questo caso “il trucco di Dio” allude all’illusione che possa esistere una conoscenza al di fuori del corpo, un retaggio umanistico che ovviamente la Haraway bolla come fallimentare. In questa prospettiva le due installazioni esterne di Piero Gilardi e Michael Blazy e i lavori di Critical Art Ensemble, Lara Almarcegui e Nomeda e Geminas Urbonas affrontano le sfide cruciali dell’era geologica corrente parlandoci di energia alternativa, analisi stratigrafiche, rinverdimento mirato e cambiamento climatico. L’obiettivo è ritrovare un equilibrio con l’ambiente che ci circonda al di là delle retoriche dei media. Attenzione: durante il percorso potresti maturare un’opinione diversa del sistema capitalistico in cui viviamo e della sua accumulazione compulsiva, e soprattutto scoprire che in tutto questo non c’è nulla di naturale, e le alternative sono molte più di quelle che immagini.