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Incontri

Squame, proboscidi e piedi prensili: l’umanità di Patricia Piccinini

By 1 Maggio 2018Settembre 16th, 2024No Comments8 min read

In una sala della Gallery of Modern Art di Brisbane, Australia, in questi giorni c’è una roulotte. I visitatori possono sbirciare dentro, dove tra stipetti di legno e aggeggi da campeggio c’è un letto a due piazze in cui sono sdraiati un uomo e una donna, teneramente abbracciati e avvolti da un lenzuolo stropicciato. Lui poggia la testa sulla spalla di lei, lei gli accarezza una guancia, tutti e due sono senza vestiti. Lui ha gli occhi chiusi, lei guarda assorta verso un punto imprecisato.

Tutto sembra così vero che viene quasi da scusarsi per l’intromissione, oppure da arrossire di fronte a tanta intimità. Poco importa se i due hanno il viso leggermente animalesco, il romanticismo regge finché lo sguardo non cade sulle loro estremità, dotate di enormi unghie da talpa. È a questo punto che il pubblico si ricorda con orrore di essere ad una mostra di arte contemporanea, e che quello che sta guardando non è il fermo immagine di una fiction ma un’opera di Patrizia Piccinini, che è come dire un’ipotesi aberrante sul futuro della razza umana.

Dalle aule universitarie ai musei di medicina

The Couple è una delle ultimissime creazioni di Patricia, realizzata appositamente per Curious Affection, che vuole essere la più completa e importante mostra personale dell’artista nel suo paese adottivo. Piccinini infatti è nata in Sierra Leone, e deve il suo trasferimento in Australia un po’ alla guerra civile – scoppiata quando era ancora bambina –  e un po’ alla madre, che non aveva nessuna intenzione di rimanere in Italia, dove la famiglia sulle prime si era rifugiata.

Alla madre, morta di cancro a 52 anni dopo più di dieci di terapie, Patricia deve anche un’altra componente fondamentale della sua vita: l’interesse per la medicina e il corpo umano.  La malattia ha fatto da sfondo a tutta la sua giovinezza; per tutto quel tempo Patricia non ha mai smesso di credere che la tecnologia e i progressi scientifici l’avrebbero salvata, e quando è diventato evidente che non sarebbe andata così, il delicato intreccio di questioni etiche, razionali ed emozionali legate al corpo è diventato il soggetto principale del suo lavoro.

Così, dopo una laurea inspiegabile in Storia Economica, Piccinini si è rivolta alla pittura ottenendo un altro BA negli anni ’90, presso il Victorian College of The Arts. Ben lontano dall’essere l’unico segno di transdisciplinarietà nella sua vita, a quei tempi Patricia era anche un’assidua frequentatrice dei musei di medicina, nei quali passava ore a realizzare schizzi di anatomie, mutazioni, patologie e di tutte le specie che gli capitavano a tiro. Questa attività le ha permesso di accumulare un catalogo inesauribile di mostruosità, che le hanno fatto compagnia lungo tutta la sua carriera.

Patricia Piccinini, The Couple, 2018

Patricia Piccinini, The Couple, 2018

Patricia Piccinini, The Couple, 2018

Patricia Piccinini e The Bond, 2016

Patricia Piccinini e The Bond, 2016

Patricia Piccinini e The Bond, 2016

Iperralismo ma non troppo

Presto alla pittura si sono aggiunti fibra di vetro, silicone, capelli e peli umani, che sono i materiali con cui ancora oggi dà vita alla maggior parte delle sue sculture. Questi media hanno permesso a Patricia Piccinini di entrare a pieno titolo nell’isola felice dell’iperrealismo, popolata da artisti come Duane Hanson e Ron Mueck – che di riproduzioni umanoidi più vere del vero ne hanno prodotte in quantità industriale- ma di differenziarsi da loro su un punto fondamentale: la plausibilità.

Le creature di Patricia non sono uno specchio, ma una sfera di cristallo: non ci mostrano come siamo, ma come potremmo essere tra pochi decenni, quando maneggeremo le cellule staminali con la stessa scioltezza con cui oggi  prendiamo gli antibiotici. Per allora forse avremo proboscidi e orecchie da labrador, piccoli tentacoli o piedi palmati. Questo vuol dire che saremo meno umani? Piccinini risponde di no. Anzi, non saremo mai così umani come quando ci troveremo faccia a faccia con le conseguenze dei nostri pasticci biologici; o quando ci scopriremo figl* di esperimenti sfuggiti di mano, di ibridazioni fuori controllo. Allora non potremo che guardarci con compassione, ed iniziare ad accettarci nella nostra diversità.

Patricia Piccinini, Unfurled, 2017
Patricia Piccinini, Unfurled, 2017
Patricia Piccinini, Unfurled, 2017
Patricia Piccinini, Prone, 2011
Patricia Piccinini, Prone, 2011
Patricia Piccinini, Prone, 2011

Il mostro si può amare?

Nel 2003 Piccinini ha rappresentato l’Australia alla 50a Biennale di Venezia con un’opera chiamata The Young Family: sopra una sorta di cuccia stava adagiato un quadrupede completamente glabro, una specie di incrocio tra un cane ed un maiale, ma con arti e torso inequivocabilmente umani, che allattava tre cuccioli di una razza non meno identificabile. Nonostante la stranezza di quelle creature, tanto realistiche nei materiali quanto improbabili nella forma, era impossibile non provare una sorta di tenerezza, perfino empatia, di fronte a quella scena così materna.

In The Long Awaited, opera del 2008, c’è una panca con un bambino che tiene in grembo la testa del nonno, o almeno di quello che riteniamo tale, e la scena ci scioglie il cuore anche se l’anziano ha il corpo di una foca e una specie di pinna al posto dei piedi. E poi ancora: neonati pelosi, mammelle gonfiabili, madri scimmiesche… animali umanoidi o umani animalizzati? Scorrendo il suo portfolio arriva un punto in cui diventa difficile dirlo. Quello che è certo però, è che c’è sempre una piccola percentuale in cui ci riconosciamo.

Questi soggetti non sono i mostri dei film hollywoodiani, creature in cui la deformità è una colpa, la manifestazione esteriore di un male profondo; qui l’equazione brutto e cattivo non vale più. Nella spiazzante varietà di combinazioni di membra e tessuti molli c’è un elemento che rimane sempre, inequivocabilmente umano. E’ quello che stabilisce empatia, compassione e perfino identificazione. Patricia vuole parlarci della relazione, non della paura; vuole farci riflettere su cosa significa mettere mano alla vita manipolando il genoma o impratichendosi con le biotecologie, e riconciliarci in anticipo con i nostri errori.

L’essere umano si riprogetta e riprogettandosi si rivela nella sua interrelazione con il mondo non umano, non solo animale ma anche tecnologico. Nel 2006 Piccinini ha iniziato a mescolare anche due elementi non appartenenti allo stesso regno: esseri viventi e mezzi di trasporto. La sua celebre automotive series è fatta di motociclette accucciate come animali domestici, copertoni con escrescenze a forma di organi molli, oppure ibridi di carne e metallo; una specie di traduzione scultorea delle fantasie erotiche di Ballard.

Patricia Piccinini, The Young Family, 2002
Patricia Piccinini, The Young Family, 2002
Patricia Piccinini, The Long Awaited, 2008
Patricia Piccinini, The Long Awaited, 2008

Non chiamateli mostri

A proposito di carrozzerie, per l’automotive Patricia ha fatto anche di più: non dimentichiamo Graham, il mitico prototipo di creatura resistente agli incidenti stradali. Anche Graham, come gli altri, è un essere che la Piccinini considera bellissimo: “Sono sempre abbastanza sorpresa quando delle persone trovano il mio lavoro aberrante, perché non lo faccio per creare opere grottesche o disgustose. La cosa ridicola per me è che in natura abbiamo cose come i trichechi o gli alligatori, e le mie creature sono nettamente più piacevoli in confronto a gran parte di ciò che si trova nel mondo naturale. Non capisco perché le persone le trovino disgustose, perché in realtà io cerco di renderle il più belle possibili.”

A questo punto bisognerebbe chiedere agli 1,4 milioni di visitator* (circa 9 mila persone al giorno) che nel 2016 hanno varcato l’ingresso del Centro Cultural Banco De Brasil di Rio de Janeiro per vedere la sua precedente retrospettiva, se fossero moss* più dalla bellezza o dal disgusto. Per fortuna la risposta non la sapremo mai, ma quel che è certo è che ComCiência è ad oggi la mostra di arte contemporanea più visitata del mondo. Mentre aspettiamo i numeri di Curious Affection, per ora l’unica risposta che possiamo dare alla domanda: “siamo in grado di amare le differenze?” è che per ora ci attraggono irresistibimente.

Patricia Piccinini, The Young Family, 2002
Patricia Piccinini, The Young Family, 2002
Patricia Piccinini, The Comforter, 2010
Patricia Piccinini, The Comforter, 2010