Ci sono almeno due ragioni per cui Auto sacramental, la personale di Guido van der Werve a Milano, è una mostra particolare:
la prima è che è stata finanziata tramite BeArt, la nuova piattaforma di corporate crowfunding adibita alla raccolta fondi da parte di aziende e piccole medie imprese e riservata a progetti culturali;
la seconda è che si tratta della prima occasione in cui così tanti lavori del performer/atleta/compositore olandese sono riuniti ed esposti tutti nello stesso luogo, tanto che si vocifera che alla fine dell’allestimento van der Werve si sia perfino un po’ commosso.
La location tra l’altro è quanto di più spiazzante si possa incontrare, almeno per chi non è avvezzo ad andare a caccia di mostre di arte contemporanea in luoghi dimenticati da Dio. Arrivati in via Paisiello con o senza l’aiuto di GoogleMaps, almeno 5 minuti di sconforto sono d’obbligo.
Per chi non conoscesse già FuturDome, o semplicemente non avesse guardato con attenzione il palazzo liberty che è il loro logo, la sensazione di aver sbagliato indirizzo sarà una concreta possibilità. Non un’insegna, né un campanello, né qualche autoctono al corrente dei fatti vi potranno aiutare a trovare l’entrata, specie se arriverete con quindici minuti di anticipo sull’apertura come è capitato a me.
In ogni caso il civico non mente, e una volta entrati nell’androne del palazzo sarete accolti da un addetto ai lavori che vi preparerà psicologicamente a quello che state per vedere – durata delle proiezioni inclusa. Tra le varie cose, vi spiegherà anche che questa dell’anonimato è proprio una politica del progetto: un museo indipendente che non vuole togliere a nessuno il piacere della scoperta.
La scoperta sarà una costante della vostra visita, che vi porterà ad addentrarvi nel cuore di un edificio in ristrutturazione sulle tracce dei venti video che testimoniano le performance più emblematiche dell’artista. Queste opere si presentano come straordinari saggi di resistenza fisica sublimati da un’attenzione maniacale per la fotografia e accompagnati da una colonna sonora importante, fatta di omaggi ai compositori romantici che hanno segnato la biografia di van der Werve.
Guido van der Werve – che da qui in poi chiameremo solo Guido van, nella speranza che Kubrick non chieda il copyright- sposta di continuo il comune concetto di limite fisico, e con le sue performance atletiche si inserisce a pieno titolo in quel segmento di artisti che hanno usato il proprio corpo per mettersi in pericolo.
A guardarlo passeggiare in solitaria in un punto imprecisato del Mar Baltico, braccato a uomo da un gigantesco rompighiaccio che frantuma ogni cosa al suo passaggio, il paragone con le atmosfere sospese del connazionale Bas Jan Ader è d’obbligo, con la differenza però, che a Guido van le cose sono andate un po’ meglio e finora è sempre sopravvissuto.
Merito forse della vena umoristica che riesce a far convivere con il fascino irresistibile dell’estremo, e che si esemplifica in opere decisamente meno rischiose, come Number zeventien, killing time attempt 1, from the deepest ocean to the highest mountain, in cui l’artista si allena per l’ennesima impresa ai limiti dell’umano armato di shirts e contapassi nella vasca di casa.
Ugualmente irresistibili The Walking Pingeon, la performance in cui Guido van si addentra in un bosco indossando una macchina rudimentale che gli coordina e costringe il passo in movimenti innaturali, tutta ripresa dal punto di vista di un piccione, e Nummer zeven (the clouds are more beautiful from the above) in cui l’artista lancia in orbita un piccolo razzo al centro di un campo deserto, una sintesi bizzarra ed utopistica tra le velleità di conquista di Elon Musk e Voyage Dans La Lune di Melies.
Al di là di agonismi e struggenti en plain air, il lavoro di Guido van, che ha iniziato la sua carriera come pianista, si nutre anche di riferimenti musicali: proprio come le composizioni classiche, le sue opere sono nominate con un numero progressivo, in olandese e impronunciabile ai più.
In Nummer Veertien, home, ad esempio, le immagini scorrono sulle note di un requiem in tre movimenti e dodici atti composto appositamente dall’artista, e il concept ruota attorno alla celebrazione dei suoi due idoli giovanili: Alessandro Magno e Frédéric Chopin.
Nonostante il pessimismo apparente, il film racconta come Guido van sia riuscito a percorrere ben 1700 chilometri di triathlon alternando nuoto, bicicletta e corsa, solo per rovesciare una tazza di terra nativa sulla tomba del beneamato compositore polacco, sepolto suo malgrado nel cimitero parigino di Père Lachaise.
In video come questi, anche se allietati da siparietti come quello in cui l’artista sfila davanti a un’orchestra con i vestiti in fiamme per poi spegnere il fuoco immergendosi nel fiume vicino, van der Welde mette alla prova contemporaneamente i limiti del corpo e la resistenza psichica degli spettatori: filmati di quasi sessanta minuti, musica classica, riprese lunghe, assenza di dialoghi… non è un caso forse, che di solito sia sempre lui a uscirne vincitore.
Eppure, come diceva un famoso spot di pneumatici “la potenza è nulla senza controllo” e ad ammonirci interviene Nummer zestien, the present moment, un video a tre canali a grandezza più che naturale che mostra come le azioni umane siano spesso frutto di meccanismi indotti.
Per dimostrarlo le location bucoliche sono rimpiazzate da un ambiente privo di qualsiasi connotazione spaziale, in cui un brulicante gruppo di uomini e donne, a volte vestiti di nero, a volte completamente nudi, esegue le istruzioni di un regista di film porno e di un terapista per quasi sessanta minuti.
Il video è diviso in dodici atti, ciascuno corrispondente ad un segno zodiacale e musicato sempre dallo stesso Guido van, ma questa volta con una più modesta composizione per pianola. Questo non è l’unico riferimento ad una sorta di sacralità medievale: il titolo stesso della mostra, Auto sacramental, si riferisce al termine spagnolo con cui venivano chiamati i drammi ciclici del Trecento, che si svolgevano all’aperto e in un unico atto, come la maggior parte delle performance dell’artista.
Atleta, musicista, performer e intellettuale, Guido van è molte cose che tutti noi vorremmo essere, e le mescola tutte in maniera magistrale, in quella che, badate bene, non è una fiction, ma sempre la ripresa di un’impresa reale.
In attesa di chiudere in bellezza con una nuova performance il 9 aprile, durante la settimana dell’arte milanese, vi lascio con una sua intervista, ma state tranquilli, questa dura solo 23 minuti.