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Incontri

Il senso di Gucci per il postumano

By 27 Febbraio 2018Settembre 4th, 2024No Comments4 min read

Una volta Max Ernst  parafrasò un verso del poeta Comte De Lautréamont e trovò il modo perfetto per descrivere il Surrealismo: “Bello come l’incontro casuale di una macchina da cucire ed un ombrello su un tavolo operatorio.” La stessa frase sembra essere stata presa alla lettera da Gucci, almeno a giudicare dalla sua ultima sfilata per la Milano Fashion Week, che da una settimana è scesa dalle passerelle per entrare nei bar e nelle community online, chiacchierata come non mai.

Per la collezione autunno/inverno 2018-2019, rigorosamente prêt-à-porter, l’attuale direttore artistico del brand Alessandro Michele, ha trasformato la passerella in una sala operatoria, con tanto di lettini, lampade e pareti verdeacqua in perfetto stile ER, nella quale hanno sfilato gli orpelli più improbabili: turbanti Sikh, giacchette del college, allucinazioni vittoriane, perline,  passamontagna, occhiali da sole e cuccioli di drago.

Nulla a cui l’alta moda non ci abbia già abituato, ma il pezzo forte della collezione deve ancora venire: tre modelli con sguardi stralunati che fanno il loro ingresso reggendo in mano la replica perfetta della propria testa. Una bella sfida per chi già era a disagio con la borsetta. Come giustifica il nostro Michele tutto ciò? “Il lavoro di noi creativi è un’operazione chirurgica, è tutto un tagliare, assemblare, sperimentare e ricombinare sopra un tavolo operatorio.” Il suo intento era quindi quello di mostrare i ‘dietro le quinte’ del lavoro del designer, dargli una sorta di dignità scientifica.

Ma oltre a questo nella collezione che abbiamo visto c’è di più. Nella mescolanza bulimica di stili e riferimenti culturali, si può rintracciare un disegno ben preciso. Il drago ad esempio, non è una citazione ammiccante diretta al cuore dei nostalgici di Game of Thrones, come sulle prime tutti abbiamo pensato, ma una citazione quasi letterale della Santa Margherita dipinta su un altare della Cattedrale di Bamberga, che culla il suo mostriciattolo con lo stesso sguardo materno della modella in questione.

Oltre all’estetica transgender quindi, un’altra passione inguaribile di Alessandro Michele sembra essere l’arte del Rinascimento, in tutte le sue più ampie declinazioni, da Tiziano a Perugino, a Bosh, ovviamente. Velluti e giacche di pelliccia si accordano senza soluzione di continuità con influenze letterarie inaspettate, prima tra tutte il Dottor Frankenstein, il classicone di Mary Shelley, e, ancora più a sorpresa, il Cyborg Manifesto di Donna Haraway.

Dato alle stampe nell’84, questo saggio è la Bibbia della fluidità di genere, e ha profetizzato con vari decenni d’anticipo sulla nostra consapevolezza un fenomeno che in realtà sta già accadendo da tempo: l’assottigliarsi dei confini tra le macchine e gli esseri viventi. Tutto ciò nell’idea di Michele potrebbe concretizzarsi più o meno come nella foto qui sotto.

A livello tecnico dobbiamo tutto questo virtuosismo di silicone a Makinarium, una società di Roma specializzata in effetti speciali che ha il suo atelier non a caso negli studi di Cinecittà, a livello concettuale al repertorio iconografico del XVI secolo. L’espediente della testa mozzata, al di là dei facili paragoni con Barbablù, fonde perfettamente le iconografie rinascimentali stile Giuditta e Oloferne con le velleità postumane della Haraway, e cerca di dare una forma visiva a quegli impulsi trasformistici che spingono l’uomo a modificare il proprio corpo a seconda dei propri desideri – e spesso degli incubi degli altri.

Che ci riesca o meno, sicuramente tutto questo trasmette molto bene la volontà che Gucci ha espresso nelle note a margine della sfilata: allontanare la moda da un semplicistico fare business per avvicinarla a problemi, se non sociali, sicuramente culturali e morali, e farne la corsia preferenziale per arrivare ad assomigliare a quello che siamo.