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Segue aperitivo

HyperPavilion – HyperDelusion

By 30 Agosto 2017Settembre 4th, 2024No Comments6 min read

Hyper
Pavilion

 

13 maggio – 30 ottobre 2017
Arsenale – VENEZIA

Complice forse la sua collocazione all’estremità nord dell’Arsenale (only the brave), la tematica nerd e gli esiti non brillanti, fatto sta che dell’HyperPavilion finora ne ho sentito parlare pochissimo. Chiaro, siamo ben lontani da eventi capaci di lasciare un segno, ma con i tempi che corrono la sola presenza all’interno della Biennale di un avamposto dedicato al rapporto tra arte e nuovi media è bastata a darmi la forza. Così ho deciso che meritava comunque di essere raccontato e strappato all’oblio dei non addetti ai lavori.

Dal punto di vista strutturale l’HyperPavilion è indistinguibile dagli altri padiglioni. Su 3 mila metri quadrati di superficie, corrispondente a tre tese dell’Arsenale, si alternano lavori site-specific di vari artisti, con l’unica differenza che invece di essere legati da una partecipazione nazionale qui lo sono da tematiche cyberpunk e da un’evidente fanatismo per Philip Dick. Curato da Philippe Riss-Schmidt e da una società coreana chiamata Fabulous Inc, come spesso capita in questi casi la spettacolarità ha preso a tutti un po’ la mano e all’interno troviamo un allestimento extraterrestre, con opere sprofondate nelle tenebre, atmosfere sospese e lame di luce gelida, roba che a confronto il set di Interstellar sembra la scenografia di una recita parrocchiale.

Prima di approcciare le opere di solito può essere d’aiuto dare uno sguardo al comunicato stampa, che in questo caso abbozza un tentativo di affrontare la questione dell’Antropocene, fase delicata dello sviluppo geologico che senza accorgerci abbiamo generato. Il tono dell’esposizione, a suon di paroloni come “condizione tecnoumana”, “postrealtà”, “penetrazione cognitiva” e altre patologie, annuncia la scoperta dell’acqua calda: la nascita di una nuova era, un Rinascimento post-elettronico in cui passato, presente e futuro si fondono. Il tutto oscilla su un’ambiguità: la situazione è maledettamente entusiasmante o maledettamente apocalittica?

Il dubbio è fugato subito appena sorpassata l’entrata: l’esposizione è pattugliata da guardie in assetto antisommossa, equipaggiate da gadget inquietanti di ogni tipo e visori VR di cui sfugge l’utilità. Alcune di queste sono autorizzate a fermarvi e chiedervi i documenti, oppure il cellulare. Motivo: cybersecurity. A me non è capitato, ma se con voi lo fanno non vi preoccupate, fa tutto parte dell’opera di Aram Bartholl, Weeping Angels, che consta anche di un carro armato fatto di specchi e parcheggiato sopra un tappeto coperto da loghi di famosi brand, neanche fossimo al Motor Show.

Dopo questa calda accoglienza potrete procedere alla scoperta delle altre opere. In tutto sono 13, ma vi grazio parlandovi solo di quelle che mi hanno colpito (cioè quelle che mi ricordo). In ordine di apparizione la prima è senz’altro +1 di Claude Closky che a differenza di quella un po’ tamarra del collega, è così discreta che quasi non si nota. Si tratta di un paio di dispositivi sistemati lungo le pareti, che potrebbero essere scambiati per tutto meno che per un’opera d’arte; invece non solo lo sono, ma sono anche interattive. Quello che vi si chiede di fare è di una semplicità disarmante: cliccare sullo schermo il tasto +1 e aggiornare il contatore di una unità.

HyperPavilion, veduta dell’allestimento
HyperPavilion, veduta dell’allestimento
HyperPavilion, veduta dell’allestimento
HyperPavilion, veduta dell’allestimento
HyperPavilion, veduta dell’allestimento
HyperPavilion, veduta dell’allestimento
Aram Bartholl, Weeping Angels, 2017
Aram Bartholl, Weeping Angels, 2017
Aram Bartholl, Weeping Angels, 2017

All’operazione meccanica del cliccare risponde The Council di Frederik De Wilde, la versione post umana del Pensatore di Rodin: simbolo di un’era ormai trascorsa, era ora di attualizzare questa figura in una veste più consona all’epoca digitale. Com’è prevedibile, il Pensatore moderno non è in grado di sostenere questa incombenza da solo e si avvale quindi di uno sciame di device, che troviamo assiepati ai suoi piedi. Decine di ipad iperconnessi e in piena attività, che mandano segnali luminosi nel buio rimescolando pixel, un’estensione delle capacità cognitive umane ormai quasi naturale.

E a proposito di capacità cognitive, che dire invece di quelle delle macchine? Un’intera parete è dedicata alla proiezione Geomancer di Lawrence Lek, una specie di allucinazione architettonica dedicata alle intelligenze artificiali che prospetta come sarà il mondo quando queste ci avranno ufficialmente surclassato, anche nell’ambito creativo (cosa che a questo punto viene quasi da augurarsi). Un video in cui filosofia e immaginario sci-fi si combinano alla perfezione per riempirci di meraviglia e terrore.

Più discreti e curiosi i Gaiartefacts e le Anthropic combinations di Thèo Massoulier, i primi sono una sorta di fossili 2.0, dove il video si dimostra uno strumento ottimo anche per convertire minerali in organismi viventi. In che modo? Ad esempio proiettando l’immagine di una medusa sopra una roccia. Le seconde invece sono una serie di piccole sculture artigianali composte da una libera associazione di elementi minerali, artificiali e vegetali. Anche se non si può proprio dire che siano riuscite a dimostrare “il continuum della materia cosmica tra il macroscopico e il microscopico”, devo ammettere che come souvenir dalla fine del mondo queste sculture sarebbero davvero graziose.

Claude Closky, +1, 2000
Claude Closky, +1, 2000
Claude Closky, +1, 2000
Frederik De Wilde, The Council, 2017
Frederik De Wilde, The Council, 2017
Frederik De Wilde, The Council, 2017
Lawrence Lek, Geomancer, 2017
Lawrence Lek, Geomancer, 2017
Lawrence Lek, Geomancer, 2017

Un fascino simile lo troverete anche in Climat general, una dimostrazione un po’ arrogante del potere della grafica autogenerativa. Su una superficie curva e uno sfondo neutro senza coordinate spazio temporali di sorta, un programma disegna senza sosta, analizzando dati in tempo reale attraverso degli specifici algoritmi. Il visitatore è delicatamente accerchiato da un’infiorescenza di forme ed elementi fluttuanti e incomprensibili: una specie di antipasto del clima in cui vivremo ad Antropocene inoltrato.

Arrivati a questo punto ho realizzato che leggere il comunicato stampa non sempre è una buona idea. Se volete godervi la visita vi consiglio di non farlo. Molto meglio prendere queste opere come sono, senza farne un emblema di come è cambiata l’arte con l’arrivo del digitale; perché la vera debolezza di questa mostra non è di non essere eccezionale, è di essere caduta nella trappola di sempre: fare dei nuovi media lo spettacolo di se stessi. Più che Rinascimento elettronico, io lo chiamerei Medioevo cerebrale.

Théo Massoulier, Anthropic combinations of entropic elements, 2017
Théo Massoulier, Anthropic combinations of entropic elements, 2017
Théo Massoulier, Anthropic combinations of entropic elements, 2017
Claire Malrieux, Climat Général, 2017
Claire Malrieux, Climat Général, 2017
Claire Malrieux, Climat Général, 2017