Su Photoshop c’è un filtro che si chiama “dispersion”, con un paio di click permette di far esplodere i contorni di una persona in mille frammenti colorati. Con il filtro “spiral” invece ti puoi arrotolare la faccia come fosse una gomma da masticare. E poi c’è “mosaic”, che ti trasforma in un tappeto di pixel, o quello tipo folata di vento, che simula alla meglio un difetto dello schermo.
Cambiare forma è un gioco che ha qualcosa di meraviglioso. Avvolgersi nella nebbia, darsi un profilo acquarellato, cancellarsi una ruga e allungarsi le gambe di cinque centimetri. Finché si lavora su un’immagine nessuna modifica è immorale: puoi correggerti all’infinito oppure trasformarti in qualcosa di mai visto prima. Come su TikTok, dove ti puoi dilatare gli occhi come un pesce palla e vomitare un arcobaleno. O su Instagram, dove tutto quello che fai è bello come una pubblicità di Vogue, a meno che non ti venga in mente di aggiungerti orecchie e baffi e miagolare come un gattino.
Marcel Duchamp, Nudo che scende le scale n.2, 1912
Marcel Duchamp, Nudo che scende le scale n.2, 1912
Marcel Duchamp, Nudo che scende le scale n.2, 1912
Marcel Duchamp, Nudo che scende le scale n.2, 1912
Francis Bacon, Autoritratto, 1971
Francis Bacon, Autoritratto, 1971
Francis Bacon, Autoritratto, 1971
Francis Bacon, Autoritratto, 1971
Gli effetti che ora si possono ottenere con i software più comuni e le app del tuo cellulare, hanno tra i loro parenti stretti svariati capolavori della storia dell’arte. Per citarne solo qualcuno, molto tempo dopo che Ingrés aveva allungato la schiena alla sua Grande Odalisca, ma prima che Botero gonfiasse la Monna Lisa fin quasi a scoppiare, Marcel Duchamp ha smontato una donna in un collage di spigoli e curve, trasformandola in una specie di millepiedi che scende le scale.
Dal canto suo, mentre Francis Bacon riempiva le gallerie di corpi squagliati, Salvador Dalì, stanco di stupire il pubblico con le sue pelli cascanti, ha scomposto la sua amata Gala in un sistema di sfere perfette.
Ecco cosa può succedere quando si è liberi di fantasticare: la possibilità di manipolare un’immagine ci fa perdere la testa. Muoverci in uno spazio virtuale ci rende straordinariamente creativi, capaci di immaginare corpi nuovi, con le più improbabili configurazioni.
Ma cosa succederebbe se avessimo degli strumenti che ci permettessero di fare le stesse cose nel mondo reale? Se un giorno potessimo correggere la nostra carne per ottenere una versione ottimale, oppure modificarci a piacimento, allora saremmo davvero disposti a fare sul serio?
Salvador Dalì, Galatea delle sfere, 1952
Salvador Dalì, Galatea delle sfere, 1952
Salvador Dalì, Galatea delle sfere, 1952
Salvador Dalì, Galatea delle sfere, 1952
Francis Bacon, Figura seduta, 1983
Francis Bacon, Figura seduta, 1983
Francis Bacon, Figura seduta, 1983
Francis Bacon, Figura seduta, 1983
Nel 2008 l’artista Bart Hess incontra una biondina chiamata Lucy McRae. Lei si definisce body architect, una professione inventata lì per lì durante un colloquio per conciliare il suo passato da architetto con un presente nel mondo della moda.
Lui è un artista prestato al fashion system, ossessionato dalla simbiosi tra gli abiti e i corpi. In quel momento Bart e Lucy fanno parte di un team di ricerca messo in piedi dalla Philips per fare esperimenti sulle nuove tecnologie indossabili.
Dopo il lavoro vanno a spasso per Eindhoven raccogliendo per strada i materiali più improbabili, per poi applicarseli sul corpo e fotografarsi a vicenda. La loro idea è quella di ottenere effetti simili a quelli dei filtri digitali, servendosi solo di mezzi artigianali. Una specie di Photoshop fai da te, a tratti mostruoso e tremendamente reale. Il risultato è un progetto chiamato Lucyandbart, che è a metà strada tra un esperimento d’avanguardia e un gioco da bambini.
Dopo aver raccolto ogni genere di ciarpame, i due artisti si cospargono il corpo di colla e vi applicano sopra centinaia di schegge di carta ripiegata, stuzzicadenti, palloncini colorati; si ricoprono di schiuma isolante oppure si addobbano di sacchi di terriccio e di semi che poi lasciano germogliare. A seconda del trattamento il loro corpo si declina in una serie di ipotesi: aumenta di volume, si gonfia di protuberanze e di spigoli, oppure si copre di colori come un pavone; di volta in volta assume l’aspetto di un uccello esotico, di un’architettura astratta o di una pianta d’appartamento.
Il sogno nel cassetto di Bart è che un giorno l’uomo possa generarsi i vestiti da solo, semplicemente coltivandoseli sulla pelle; quello di Lucy è di trovare un aspetto più interessante per l’essere umano. Per entrambi la mutazione non è solo fantascienza o un passatempo demenziale, ma una realtà possibile che un giorno ci crescerà addosso creando nuovi canoni di bellezza.
Bart Hesse e Lucy McRae, Exploded View Part Two, 2008
Bart Hesse e Lucy McRae, Exploded View Part Two, 2008
Bart Hesse e Lucy McRae, Exploded View Part Two, 2008
Bart Hesse e Lucy McRae, Exploded View Part Two, 2008
Bart Hesse e Lucy McRae, Exploded View Part Two, 2008
Bart Hess e Lucy McRae, Germination Day Eight, 2008
Bart Hess e Lucy McRae, Germination Day Eight, 2008
Bart Hess e Lucy McRae, Germination Day Eight, 2008
Bart Hess e Lucy McRae, Germination Day Eight, 2008
Bart Hess e Lucy McRae, Germination Day Eight, 2008
Bart Hess e Lucy McRae, Evolution, 2008
Bart Hess e Lucy McRae, Evolution, 2008
Bart Hess e Lucy McRae, Evolution, 2008
Bart Hess e Lucy McRae, Evolution, 2008
Bart Hess e Lucy McRae, Evolution, 2008
Bart Hess e Lucy McRae, Grow On you, 2008
Bart Hess e Lucy McRae, Grow On you, 2008
Bart Hess e Lucy McRae, Grow On you, 2008
Bart Hess e Lucy McRae, Grow On you, 2008
Bart Hess e Lucy McRae, Grow On you, 2008
In attesa del momento in cui rimodellarsi sarà una cosa perfettamente normale, i corpi viscidi e vischiosi delle tele di Dalì e Bacon sono già diventati un capo di abbigliamento grazie a Liquified, una performance che Bart Hess ha realizzato nel 2010 per presentare al pubblico un tessuto ad effetto liquido di sua invenzione. L’impiego di questa sostanza è semplice: basta drappeggiarla sul corpo per dare a tutti l’impressione di sciogliersi al suolo.
Un anno più tardi, mentre Lucy McRae sperimentava l’assorbimento dei pigmenti colorati per realizzare una pelle fotosensibile, a Bart Hess sono stati sufficienti solo un telo di latex e la giusta illuminazione per darci un’idea di come potrà apparire l’umanità quando verrà definitivamente inglobata dal digitale.
Lucida e fluida, la struttura fisica di Mutants è molto più vicina ad un ologramma che a un essere umano, e in ogni caso è già impossibile da definire.
Bart Hess, Mutants, 2009
Bart Hess, Mutants, 2009
Bart Hess, Mutants, 2009
Bart Hess, Mutants, 2009
Bart Hess, Mutants, 2009