Correva l’anno 1993 e Stelarc fu invitato alla Triennale di Melbourne. Invece di mettere una bella scultura al centro di una piazza, pensò di ficcarsene una dentro lo stomaco. Così realizzò il primo monumento ingeribile della storia: il suo spazio non era né pubblico né privato, ma piuttosto “endoscopico”.
L’opera consisteva in un cilindro di 50 mm di lunghezza e 15 di diametro, che poteva schiudersi aumentando di volume fino ad assumere le sembianze di un insetto. Una microcamera montata ad un’estremità permetteva di seguire il percorso in soggettiva, dopo che Stelarc l’aveva ingoiata. Dalla cavità orale fino alla sacca gastrica, in picchiata dentro i tessuti molli; un filmato che consiglio solo ai palati forti.
Vedere l’artista che si estrae dalla bocca quella capsula metallica è quasi peggio che assistere a una gastroscopia. Il disagio è praticamente l’unica reazione possibile: dopotutto, nessuno vorrebbe mai sottoporsi ad un’operazione del genere senza una ricetta medica.
Nel giudizio sull’esperimento di Stelarc il disgusto arriva sempre prima di tutte le altre considerazioni. L’imperativo morale che la carne sia un limite sacro, uno spartiacque che è impossibile scavalcare, ha vinto, ha reso il nostro corpo estraneo a noi stessi. Ha trasformato ogni tentativo di esplorarlo in una profanazione.
Stelarc, Stomach Sculpture, 1993
Stelarc, Stomach Sculpture, 1993
Stelarc, Stomach Sculpture, 1993
Stelarc, Stomach Sculpture, 1993
Qualsiasi possano essere le implicazioni medico-scientifiche di questo esperimento, per non parlare del ribaltamento totale del concetto di scultura e delle sue modalità di fruizione, al primo approccio tutto cade in secondo piano, non ci si pensa. Si pensa solo a uscire e prendere una boccata d’aria.
Tutto quello che c’è davanti agli occhi del pubblico è solo un uomo che si fa ficcare in gola una sonda, e questo esibizionismo masochista lo chiama arte. Tutto quello che riusciamo a vedere è la caricatura perfetta dello scienziato pazzo.
Finché l’altro ieri ho appreso dell’esistenza di un robot chiamato Origami, che sarebbe il primo robot ingeribile della storia. Il principio a cui si ispira è proprio quello degli origami giapponesi: è fatto con strati sovrapposti e ripiegati di carta che si schiudono da soli a contatto con una fonte di calore.
Una volta raggiunta la sua forma ideale, questo robot microscopico – é lungo meno di 2 centimetri – è in grado di muoversi da solo generando un campo magnetico che gli permette di fluttuare qua e là in qualsiasi tipo di ambiente.
La sperimentazione di questo prototipo è solo all’inizio, ma l’idea è quella di renderlo ancora più versatile e meno invasivo possibile, per poterlo poi impiegare in medicina per trasportare farmaci all’interno del corpo umano. Una volta svolto il suo compito, Origami sarà in grado di dissolversi in un bicchiere d’acqua.
Durante il viaggio dentro il corpo umano, il campo magnetico permetterà di controllare i movimenti di Origami dall’esterno, cosa che potrebbe renderlo un alleato fondamentale anche per interventi di chirurgia non invasiva. Una volta raggiunto il punto su cui intervenire, il robot potrà trasformarsi in uno strumento operatorio mirato e poi sparire senza lasciare traccia. A guardarlo così, rigirandoselo sul palmo della mano, luccicante come una piccola stella di Natale, Origami somiglia quasi ad una microscopica scultura: la Stomach Sculpture di Stelarc non sembra più tanto surreale.